sabato 7 novembre 2015

Un anno di blog

Il 7 novembre 2014, esattamente un anno fa, pubblicavo il mio primo post su questo blog. Il bilancio sorge spontaneo. 
Innanzitutto mi vengono in mente tutte le cose che ho vissuto in questo periodo, un altro anno passato no Brasil, e come sempre mi viene da dire che è stato faticoso. Nonostante viva in questo Paese da diversi anni, infatti, ancora trovo difficile una quotidianità fatta di tanti piccoli gesti e meccanismi lontani dalla mia cultura. Non riesco a fare amicizia, non mi abituo al jeitinho, alla lentezza, a tutto questo continuo nominare dio e jesus, al loro essere approssimativi. Non dico che è colpa loro. Solo che non mi sento a mio agio.
La mattina, accompagnando a scuola i miei figli, mi capita di sentire alla radio l'inno nazionale brasiliano (è alle 8) e allora alzo a palla e insieme a loro lo cantiamo. Mi diverte farlo, perché come italiana non riesco a percepire la solennità di questo rito, che peraltro è imposto anche nelle scuole. Anzi, è proprio la solennità che mi appare ridicola. Penso che se lo dicessi a un brasiliano si offenderebbe. Ed il sentirsi facilmente offesi è un'altra cosa di questo popolo a cui non mi abituo. E' come se avessero un senso di inferiorità che non permette loro di prendersi un pò in giro.
E poi ci sono tanti altri aspetti che mi lasciano perplessa. Loro usano diminutivi per tutto, come Flanders dei Simpson. La prima volta che mi sono sentita chiedere se volevo dell'acquetta ("Quer aguinha?") ci ho messo un quarto d'ora a capire cosa volessero. Ma cos'è, l'acquetta?!?
Non capisco la povertà e la rassegnazione dei molti, sono terrorizzata dalla violenza derivante dalla totale incapacità di capire che esiste un altro modo di vivere (quando lo capiscono, credono sia solo al servizio di dio). E ancora di più mi sento a disagio di fronte all'arroganza dei ricchi, che si sentono i padroni in questo Paese in cui c'è un apartheid rispetto alla quale mi sento completamente estranea.
Quindi alla domanda che tutti i brasiliani che incontro continuano a farmi, e cioè "come ti trovi in Brasile?", non posso che rispondere "male" (a loro non lo dico, cerco di essere gentile).
Il lato positivo di questa esperienza brasiliana continua ad essere la possibilità di accrescere la consapevolezza che ho di me e del mio Paese di origine, della mia diversità. E naturalmente la consapevolezza che esiste altro rispetto a quello cui sono sempre stata abituata. Questo altro a volte è peggio, a volte meglio. Comunque è importante sapere che c'è.
Quando ho cominciato a scrivere questo blog volevo un pò sfogare la frustrazione di cui dicevo. Ma mi piaceva anche l'idea di approfondire certi temi, e volevo lasciare nero su bianco questa esperienza che ha in ogni caso qualcosa di speciale. Mio marito lo definisce autoreferenziale, e ha ragione. Non scrivo per gli altri, per avere più visualizzazioni. Scrivo soprattutto per me stessa.
Tanti auguri, dunque, caro blog.

3 commenti:

  1. Brava Eva, mi ritrovo in ciò che scrivi.
    Quando i brasiliani ti chiedono come ti trovi in brasile bisognerebbe risponder loro con un termine tipo il nostro "benino..." ma, guarda, caso non esiste nelle loro lingua inflazionata di diminutivi!

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  2. Vero, non ci avevo pensato! Beh, non deve essere un caso...

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  3. ti suggerisco la lettura di questa bellissima analisi di un giurista brasiliano:
    http://sergiohenriquepereira.jusbrasil.com.br/artigos/207420267/desmistificando-o-brasil-do-amor-e-de-deus-a-saga-de-um-pais-desumano

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