giovedì 23 giugno 2016

Tempo di bilanci

Ci siamo: meno di un mese e lascerò questo Brasile per tornare a casa, con tante aspettative ma anche tante preoccupazioni. Vivere lontano dal proprio Paese significa in un certo senso vedere le cose con maggiore distacco, ma anche confondere la realtà con i ricordi, e spesso la mente seleziona quelli belli e ci fa crogiolare nella nostalgia. 
E del Brasile, sentirò nostalgia? Quella famosa saudade che tutti associano a questo gigante? Forse, chissà, fra qualche anno. La nostalgia in fondo non è legata solo ad un posto, ma anche (e a volte soprattutto) ad un periodo della propria vita, quando si è consapevoli che non tornerà più. 
Quando sono arrivata qui il mio primo figlio aveva meno di 2 anni. Come dice lui, ha passato (per ora) la maggior parte della sua vita più in Brasile che in Italia. Eppure siamo riusciti a mantenere la sua italianità, facendogli vivere in casa la lingua, le abitudini, il modo di vivere e di vedere che è così radicato in noi, emigranti temporanei e attempati. Certo la consapevolezza che saremmo tornati in Italia ci ha aiutati a non perdere le nostre radici (e a non farle perdere ai nostri figli). Ho visto molti figli di italiani emigrati che non parlano la lingua dei propri genitori, e mi rendo conto quanto sia facile perderla in una quotidianità fatta di altre parole, altri concetti per esprimere il proprio pensiero. La consapevolezza del ritorno e la forte volontà di mantenere le origini (e il futuro) della nostra famiglia, d'altro canto, credo abbiano comportato un ostacolo piuttosto grande alla nostra integrazione. Sentirsi precari ti lascia in una situazione psicologica che non ti fa andare oltre, non ci si concede in toto. Sicuramente non ci ha aiutato neanche vivere in due città che escono fuori dallo scenario più sognato dai fan del Brasile, che poi è il Nordest, Rio de Janeiro al massimo. Curitiba è più "europea", se la vogliamo vedere con gli occhi dei suoi orgogliosi abitanti, più fredda e ostica se guardiamo in faccia la realtà. Brasilia, una capitale progettata e creata dal nulla, e quando dico nulla voglio dire proprio nulla: finta, surreale, invivibile (se vivere vuol dire, per esempio, camminare, incontrare altra gente). Un sogno trasformatosi in un pasticcio, a mio parere. Va beh, è andata così. E' stata comunque un'opportunità incredibile, un'esperienza di vita, per me e credo anche per i miei figli, che mi (ci) porterò(emo) dentro per sempre. 
E' un pò presto per tirare le somme, forse. ma così mi sento, come quando sta per arrivare Natale e si pensa già all'anno nuovo, con un occhio a quello che è appena trascorso.