martedì 30 dicembre 2014

La chiave

Non mi piacciono le generalizzazioni, e sono consapevole del fatto che l'Italia non è la Svizzera: anche da noi le cose non funzionano granché bene. Penso sempre che la sensazione del tedesco che va in Italia sia la stessa di quella che proviamo noi in Brasile. Qui il pressappochismo sembra essere proprio  la regola, e giuro che se ci vivi questa cosa ti stressa: se hai bisogno di qualsiasi servizio, stai sicuro che chi lo esegue dovrà tornare da te (o tu da lui) almeno (se sei fortunato) due volte. E poi, per far onore al proverbio, non c'è due senza tre.

E così ieri, dimentica delle esperienze passate e fiduciosa nelle capacità altrui, ho portato le chiavi di casa a duplicare. Chiavi di casa e del cancello. Voglio puntualizzare che non sono andata in un negozio che offriva diversi servizi: no, il tipo era proprio specializzato, nella vita non fa che duplicare chiavi. Bene, chiavi furono, il servizio non era granché economico, ma la professionalità, si sa, va pagata.

Torno a casa, e per scrupolo provo le chiavi duplicate che, ovviamente, non funzionano. O meglio, una sì, l'altra no. Il cancello non si apre. Potevo tornare subito a cambiarle, ma era quasi ora di cena e pioveva a dirotto (eh sì, qui siamo nella stagione delle piogge, quelle tropicali che se metti il nasino fuori ti sei già bagnato tutto). Dai, non importa, fai un respiro profondo, lo sai che qui funziona così, domani risolvi.
Domani era oggi, e sono tornata, chiave originale in una mano, duplicato non funzionante nell'altra. Il tipo le riprende entrambe, le confronta, e comincia a lavorare di lima sul duplicato. Ecco, ora è a posto. Torno a casa, riprovo il duplicato ma niente, continua ad avere una vita parallela rispetto al mio cancello, entra nella serratura ma non gira. Mi innervosisco, lo ammetto. Uno che fa quello di mestiere, SOLO quello, non ci riesce non una, ma due volte.
Racconto l'episodio, tanto per sfogarmi, alla signora brasiliana che mi aiuta in casa. E lei mi suggerisce di chiamare il "chiavaro" e di pretendere che venga il prima possibile a sistemare questa faccenda. Giusto, non ci avevo pensato: sarà che sono di Roma, e supporre che uno che duplica le chiavi venga a casa tua sembra proprio fantascienza. Chiamo e il tipo mi assicura che per le 13.30 manderà qualcuno. Ora di pranzo, ovvio, perché un brasiliano ti dà appuntamento novanta volte su cento all'ora di pranzo o subito dopo. Va bene, tanto poi chissà se si presenta. E infatti, alle 14 richiamo per sapere a che punto è, e il tipo sembra non ricordarsi neanche di cosa stiamo parlando. "Devo partire, è un'emergenza, al lupo al lupo", mi trovo costretta a dichiarare, e minaccio velatamente ritorsioni se non si presenta entro 5 minuti. Di fronte all'atteggiamento aggressivo, prontamente l'uomo delle chiavi si presenta con attrezzi di alta precisione: lima e martello. Una limata qua, una martellata là (???), alla fine HABEMUS CHIAVE. Che fatica.

Questo piccolo, insignificante aneddoto, mi ha fatto pensare alla chiave per ottenere quello che ti serve in Brasile. Qui sembrano percorribili solo due strade: 1. assumi un atteggiamento di vita molto rilassato (tipo non ho bisogno di niente, OHM, posso fare a meno di tutto, OHM, etc. etc.); 2. diventi uno stronzo, uno che chiede sempre le cose a muso duro così da ottenere (almeno qualche volta) quello che vuoi.
Il mio problema è che non riesco proprio ad essere né l'uno né l'altro. Ma posso migliorare, lo giuro.

lunedì 29 dicembre 2014

Il sale della Terra, omaggio a Salgado

Poco tempo fa avevo visto qui a Brasilia Genesis, la mostra che il fotografo brasiliano Sebastiao Salgado sta portando in giro per il mondo e che è passata già in Italia lo scorso anno. Subito dopo ho scoperto che stava per uscire il nuovo film di Wim Wenders, Il sale della terra, pellicola che racconta la vita e l'opera proprio di questo straordinario fotografo. Neanche a dirlo, sono andata a vedere anche il film.
Con Genesis, Salgado ha voluto mostrare quella parte del nostro pianeta che appare ancora come all'origine dei tempi (da cui il nome), e il suo occhio, ancora una volta, ha permesso a chiunque voglia guardare le sue foto di vedere le luci e le ombre di quella parte del pianeta fuori dal mondo (quello occidentale). Bellissima, la mostra. Per coincidenza, ho visto anche lui, Sebastiao Salgado, mentre ero fuori ad aspettare. Non ho mai chiesto un autografo in vita mia, e in generale mi sento estranea all'attrazione che suscitano i "divi". Ma se avessi visto prima Il sale della terra, probabilmente sarei andata a stringergli la mano, solo per la consapevolezza di essere in presenza di un essere umano, oltre che di un artista, straordinario.
Wenders ha illustrato la vita di Sebastiao Salgado in modo coinvolgente, facendo parlare lui in prima persona, lui e le sue foto. Credo che si sia accorto ed ha mostrato benissimo quello che c'è di diverso nelle foto di Salgado: quelle immagini lui è andato a cercarsele, a volte davvero in capo al mondo, le sofferenze impresse sulla carta le ha condivise, quelle vite lo hanno coinvolto enormemente, e lui ha riversato l'emozione che sentiva nella fotografia, e ce l'ha offerta. Le sue sono immagini statiche che non hanno nulla di statico, sono vive, trasmettono la voglia di capire, di condividere, in ogni caso di non restare indifferente. I suoi ritratti ti frugano nella coscienza, l'immensità dei suoi cieli ti ingoia, ogni particolare catturato mostra una partecipazione emotiva che ti lascia senza fiato.

Mentre guardavo Il sale della terra mi sono commossa, ho sorriso, ho sentito che c'era qualcosa che scuoteva le coscienze. Bello l'accostamento fra le foto in bianco e nero di Salgado e le altre immagini a colori che compongono il film documentario. Bella la colonna sonora. Un film che vale la pena di essere guardato per conoscere la vita e le opere di uno degli artisti senz'altro più incredibili di questa epoca.
Ogni tanto il Brasile tira fuori dal cilindro un personaggio che lascia il segno nella storia. 

venerdì 12 dicembre 2014

Il mezzo che fa la differenza


In Brasile è molto comune sentire la parola "meia" per indicare il numero 6, cosa che per uno straniero alle prime armi con il portoghese suona davvero strano.
Meia, in generale, significa metà. Ma perché allora è passato ad indicare il numero sei? Il portoghese, fra l'altro, non è orfano del numero sei, che si dice banalmente seis, ma i brasiliani lo usano per lo più per contare (6 matite, 6 bambini, etc.), mentre nella lingua quotidiana praticamente tutti usano l'espressione meia nel caso in cui debbano dire ad esempio un numero telefonico o il numero civico.
 
Pare che l'origine di tale uso derivi dalle precarie comunicazioni telefoniche all'inizio del secolo XX. A causa delle pessime condizioni delle linee, era molto comune confondere il numero TRÊS com SEIS. Per non confondersi è stata dunque adottata la parola meia (abbreviazione di meia dúzia, cioè mezza dozzina) in sostituzione del sei.
 
Esiste anche l'espressione "trocar seis por meia dúzia", per dire che non è cambiato nulla.
 
La parola meia, giusto per completezza di informazioni, significa anche calzini.

martedì 9 dicembre 2014

Brasile: record di cesarei

A proposito di aspetti poco noti del Brasile, è questo il paese che vanta il record mondiale di parti cesarei. Il 52% dei bambini brasiliani nasce infatti con un parto cesareo, ma si arriva all’83% se si considera il solo settore privato (è appena il caso di ricordare che sono per lo più i poveri a ricorrere alla sanità pubblica).
Per esperienza personale ho prestato attenzione a questo particolare aspetto della società, e mi ha colpito da sempre il fatto che parlando con le donne brasiliane sembra che preferiscano programmare un cesareo piuttosto che affrontare un parto naturale. Qui il cesareo si usa in maniera pressoché sistematica per evitare di soffrire. Si  prenota una stanza, un dottore, si stabilisce una parcella, e via, pronti a festeggiare il lieto evento.

Ma perché andare sotto i ferri anche quando non è necessario?
Pare che i medici brasiliani, lungi dall'informare le proprie pazienti sui rischi legati al cesareo, lo consiglino. I motivi sono diversi: come si può immaginare, c'è innazitutto un motivo economico.
Il medico che assiste al parto ha diritto a percepire la propria parcella solo nel caso in cui sia presente nella sala al momento del parto. E considerato che un professionista riceve la stessa remunerazione per il parto naturale e per il cesareo, ma che per assistere al secondo si "perdono" circa 3 ore, mentre un travaglio, si sa, può durare anche molto di più, si fa presto a fare i conti. Non solo: il medico che assiste un parto programmato non ha problemi con gli altri suoi impegni, professionali e non.  
Inoltre i ginecologi, con un cesareo programmato, rischiano meno dal punto di vista delle possibili conseguenze giudiziarie in caso di complicazioni. 
Se a ciò si aggiunge la mancanza di garanzia riguardo alla disponibilità di anestesisti in qualsiasi momento e per qualsiasi quantità di partorienti, chiaro che questo disincentiva sia i medici sia le future mamme (non è difficile convincere una donna che non soffrire è meglio che soffrire).

Ma non è tutto: pare anche che in Brasile il cesareo sia "offerto in un unico pacchetto" insieme alla sterilizzazione. A me sembrava fantascienza, ma ho conosciuto direttamente o indirettamente diverse brasiliane che hanno chiesto di essere sterilizzate al momento del parto, molte anche in giovane età (dato che tante donne sono già diventate mamme molte volte prima dei 30 anni). 

Ma a dimostrazione del fatto che il Brasile è un paese dalle mille contraddizioni, qui esiste anche un movimento per l'umanizzazione del parto, un parto, cioè, il più naturale possibile, senza alcun intervento medico (a meno che non sia necessario). Una delle principali voci di questo movimento è  Ana Cristina Duarte, una ostetrica che si batte per il parto umanizzato e perché le partorienti non subiscano alcun tipo di violenza. 
Nel 2013 è anche uscito nelle sale cinematografiche brasiliane un film documentario dedicato a questo argomento, intitolato "O renascimento do parto", disponibile su Internet per chi volesse approfondire e conoscesse il portoghese.