sabato 8 novembre 2014

I miserabili

Sembra un termine che possa rievocare solo il celeberrimo romanzo di Victor Hugo, e invece qui in Brasile è attualità. Tre giorni fa infatti è stato divulgato il risultato di una ricerca dell'IPEA  (Instituto de Pesquisa Economica Aplicada), secondo cui la categoria dei miserabili, dopo essere diminuita negli ultimi 10 anni, ha ricominciato ad aumentare. Notizia post-elettorale, ovviamente, a detrazione di Dilma. Si tratta, comunque, di quasi 10 milioni e mezzo di persone che non guadagnano abbastanza da potersi permettere un "paniere basico", cioè un certo quantitativo di alimenti che assicura il sostentamento minimo (la ricerca si basa sulle raccomandazioni di FAO ed OMS).

In compenso, la categoria successiva, quella dei poveri, coloro cioè che arrivano ad un reddito mensile uguale o inferiore a 255 reais (più o meno 85 euro), è scesa a meno di 29 milioni di anime (in realtà, negli ultimi 10 anni i poveri si sarebbero addirittura dimezzati).

Personalmente mi ha colpito molto questa distinzione. L'ho sentita per la prima volta a Salvador, da un italo-francese che si era trasferito lì a seguito della moglie bahiana. Io fino ad allora avevo immaginato che i più poveri in Brasile fossero gli abitanti delle tanto famigerate favelas. E invece no. Tutto sommato pare che quelli non se la passino poi così male. Hanno un tetto (non stiamo qui a giudicarne la qualità, ma pur sempre di tetto si tratta) e mangiano. Tanto basta per non classificarli come miserabili.

I poveri brasiliani, poi, sono anche loro di diverso tipo. C'è il povero, appunto, delle favelas. Ma c'è anche quello dell'interior, cioè tutta quella parte della popolazione che vive lontana dalla costa (la stragrande maggioranza dei poveri, comunque, è concentrata nel Nordest). E poi ci sono i poveri che non sono considerati tali dalle statistiche ufficiali, ma si considerano appartenenti alla categoria. Sono quelli che gravitano attorno alle grandi metropoli, che hanno un tetto spesso dignitoso e mangiano abbastanza (alcuni si permettono addirittura il lusso di avere un'automobile), ma che fanno dei lavori "umili" e quindi poco retribuiti (in Brasile il salario minimo si aggira attorno ai 700 reais, con piccole variazioni a seconda dello stato): è la schiera delle donne di servizio che si muovono all'unisono la mattina presto per raggiungere le case dei ricchi, sono i portieri, che fanno la guardia nei condomini chiusi o nei palazzi con servizio di portineria 24 ore, sono i giardinieri, i manovali, etc. Queste persone guadagnano un reddito che gli permette di sopravvivere, ma per loro comprare qualcosa in più (tipo la lavatrice o cose simili) significa indebitarsi. Questi poveri sono comunque quelli che hanno una possibilità di evolversi socialmente, o se non altro di farlo fare ai propri figli, dando loro la possibilità di studiare ed aspirare quindi ad un lavoro più qualificato (e meglio retribuito).

Il vero punto, però, è che il Brasile non è un Paese povero, ma un Paese con molti poveri. E infatti qui i ricchi non mancano affatto. Anzi, quando sono arrivata mi ha colpito subito una certa ostentazione di ricchezza (vedevo circolare molti SUV e ho visto tante ville), che tanto strideva con l'immagine del Brasile che avevo all'epoca. Insomma, il vero problema qui resta la diseguaglianza sociale: la torta è grande, ma a spartirsi la fetta maggiore sono in pochi.

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